"Conoscere il cielo è sempre stato importante"
Anthony Aveni (astronomo ed antropologo americano)
E' raro che chi si occupi di astrologia non avverta il fascino delle antiche civiltà, culla della nostra amata disciplina. Fra queste, in primis, l'Egitto che, come recita Ermete Trismegisto, padre del sapere di questa antica terra, "è una copia del cielo, o, per meglio dire, il luogo in cui si trasferiscono e si proiettano quaggiù tutte le operazioni che governano e mettono in funzione le forze celesti".
Fare un viaggio in Egitto equivale ad entrare in un flusso temporale ancestrale. Per me ha significato rintracciare questo legame con il cielo di cui parlano gli antichi testi ermetici.
Lo ritrovo subito nella Grande Piramide. Quando, nelle prime luci del mattino, arrivo, con la comitiva con cui ho intrapreso il viaggio, nella Piana di Giza e me la vedo di fronte. L’'impatto è profondamente emozionante: la sua imponenza, il senso immediato delle sue proporzioni perfette, ne fanno una meraviglia davanti a cui tutti gli altri monumenti del mondo antico, seppur maestosi, sembrano, d'un tratto, come scomparire. Non per niente la Grande Piramide, con i suoi 146 metri di altezza e la base di 220 metri quadrati, era considerata la prima meraviglia del mondo antico. "Lo è anche di oggi", penso. E averla vista e rivista nelle immagini televisive o sulle pagine patinate delle riviste, non toglie nulla ad uno spettacolo davvero mozzafiato.
Incomincio la salita lungo la galleria: a passi cadenzati, ritmati, si procede lentamente sulle rampe, con la schiena piegata perché il soffitto è molto basso. "E' sempre con questo segno di umiltà che si approcciano i luoghi sacri dell'antichità", mi dico.
L'emozione cresce. L'energia che si respira all'interno è forte, vibrante. Arrivo nella Camera del Re: spoglia, essenziale a parte un bellissimo e perfetto sarcofago di granito scuro. Fare la levataccia ha prodotto i suoi risultati positivi: siamo i primi ad arrivare e per 45 minuti la sala sarà solo nostra. Tempo ideale per poter sperimentare ognuno di noi l'energia del sarcofago e provare la risonanza e l'effetto di suoni vibratori. Ci disponiamo in cerchio intorno al sarcofago e cominciamo ad intonare i mantra, una ripetizione di sillabe sacre che evocate inducono rilassamento e aiutano la concentrazione. La sala riecheggia tutta come se vi fossero degli amplificatori. Quando è il mio turno, trepidante, nonostante sia molti anni che lavoro sui luoghi di grande energia vibrazionale, entro nel sarcofago e mi dispongo nella posizione delle mummie, con le mani incrociate sul chakra del cuore. Gli occhi sono chiusi. E, dopo un paio di minuti, osservo la mia anima uscire dal chakra del cuore e salire piano piano a spirale in un vortice tranquillo e sereno, conscia che il cammino che deve compiere la condurrà verso le stelle.
In seguito scopro che alcuni dei più grandi esperti dell'età delle piramidi, come il dottor I.E.S. Edwards o la dottoressa Kate Spence dell'Università di Cambridge, hanno messo in evidenza che gli Egizi credevano che il faraone ascendesse alle stelle, in particolare, a quelle circumpolari, le cosiddette "indistruttibili", perché non sorgono né tramontano mai, quindi sono sempre visibili nel cielo. Ed è per questa connotazione che erano associate all'eternità e alla vita dopo la morte del faraone.
D'altra parte si sa nella conoscenza esoterica che le piramidi erano anche e soprattutto luoghi di iniziazione. Il faraone veniva iniziato dai sommi sacerdoti e la prova ultima era quella della morte simbolica che permetteva, con la sua presa di coscienza, un profondo rinnovamento interiore.
Sempre sul filo conduttore di questa ricerca di un legame tra il Cielo e l'Antico Egitto, durante la visita al grandioso Museo del Cairo, compro un biglietto per la stanza delle mummie (dove adesso, tra l'altro, riposa quella di Ramses I, il fondatore della dinastia ramesside e faraone dell'esodo biblico) e vengo a sapere che il processo di imbalsamazione durava 70 giorni. 70 giorni: esattamente il ciclo di scomparsa dal cielo di Sirio, la stella più luminosa. In una "forma mentis" che ragionava per analogia la non visibilità della stella era dunque equiparata alla fase preparatoria per il viaggio nell'aldilà. E il computo e l'analogia funzionavano vista la strabiliante conservazione delle mummie!
Sempre al Museo del Cairo mi imbatto in un interessantissimo frammento di un abito cerimoniale in pelle di leopardo con le macchie costituite da stelle a 5 punte trapuntate. In genere i sacerdoti indossavano abiti trapuntati di stelle per mostrare il fatto di essere versati nella dottrina astronomica ed astrologica. Ma questo abito era quello che veniva indossato da una sacerdotessa del tempio per un rituale molto particolare: quello del tiraggio della corda. Di cosa si trattava esattamente? Il tiraggio della corda sembra risalire alla I dinastia (siamo intorno al 2920 a.C.) e consisteva nell'assistere il faraone nel fissare l'asse di un tempio o di una piramide. Ormai è comprovato dalla maggioranza degli studiosi che era fondamentale per le antiche civiltà orientare l'edificio sacro secondo certe posizioni o allineamenti celesti in siti dove le energie telluriche fossero di magnetismo molto positivo. In questo modo veniva riprodotta l' armonia tra le forze di base costituenti la Realtà -maschile e femminile, ovvero, Cielo e Terra.
La sacerdotessa che presenziava al rituale dell'allineamento sembra proprio che rappresentasse (come confermato da ricerche recenti), la dea Seshat, una dea molto antica, così antica che già all'epoca della costruzione delle piramidi era considerata ancestrale. Dalla moderna egittologia ortodossa non viene neppure menzionata eppure nel mio viaggio l'ho trovata spesso raffigurata nei templi. Essa viene rappresentata con un copricapo da cui si eleva un bastone che sorregge una stella a 7 punte sormontata da un paio di corna rovesciate. Alta e magra , la postura della dea è eretta e l'insieme della figura esprime fiducia e autorità, nobiltà. Nelle mani tiene un bastone ed una mazza.
Ci spiega lo studioso dell'Antico Egitto, Robert Bauval (coautore de "il Mistero di Orione” Tea € 7.75)) , con cui abbiamo il privilegio di condividere questo viaggio, che nel pantheon egizio Seshat era la moglie-compagna di Thoth, il dio della saggezza e dell'astronomia nonché inventore della lingua e della scrittura. Secondo Bauval il copricapo con la stella a 7 punte con le corna rovesciate raffigurerebbe le 7 stelle dell'Orsa Maggiore che gli egizi chiamavano "la coscia del toro" (meshkhetiu). E il caso vuole che questa costellazione faccia parte delle stelle imperiture, rappresentazione del ciclo di rinascita. (inserire piccola figura della costellazione dell’Orsa)
La dea Seshat aveva poi anche un'altra funzione: quella di stabilire, affidandosi alla disciplina astrologica, gli anni di governo del faraone. Faceva questo lei stessa segnando dei nodi su un ramo di palma per cui la dea era conosciuta come "signora degli anni".
La mia ricerca mi porta infine in Nubia, ad Abu Simbel. Proprio come facevano gli antichi egizi, ci arriviamo dall'acqua. I due templi, quello dedicato a Ramses II e quello dedicato alla sua sposa preferita, Nefertari, ci appaiono nelle luci che volgono al tramonto donando un riflesso rossastro e magico alle imponenti statue. D'altra parte per gli Antichi Egizi la parola per religione era "Heka" che è più propriamente da tradursi con Magia. Davvero per loro la Vita era un fluire magico, un contatto palpitante ed intenso con le forze che ci circondano, visibili ed invisibili.
"Omaggi a te, Tu sei il Signore dei cieli", canta l'antico e bellissimo Inno a Ra, "Tu attraversi i cieli con il cuore traboccante di gioia. I tuoi raggi sono su tutti i visi. Salve, mio Signore, Tu che attraversi l'eternità e il cui Essere è eterno!".
Qui scopro che il tempio di Ramses II era stato costruito con perfezione matematica ed astronomica per celebrare il compleanno del faraone: il Sole, Ra, il dio supremo, entrava perfettamente nel tempio il 21 febbraio, all'alba. E, piccola annotazione di dovere, oggi, con tutta la nostra tecnologia, con i computer e altre meraviglie, da che il tempio è stato smantellato, spostato e ricostruito per permettere la costruzione della diga e il riempimento del bacino idrico, i nostri costruttori sono riusciti a sbagliare i calcoli e il sole penetra il tempio con un giorno di anticipo. Tant'è!
Sul filo della mia ricerca "stellare" non posso perdere ovviamente la visuale del cielo notturno in pieno deserto egizio. Mi alzo così alle quattro e mezza per dirigermi al tempio e contemplare il cielo. Ecco là Orione e Sirio. E l'astro d'argento, la Luna. L'aria è pungente, la notte così chiara e tersa che stelle e astri sembrano così vicini da poterli toccare.
Poi, lentamente, ecco il Sole irrompere, all'orizzonte, ad est, sulle acque profonde del lago Nasser e con la sua luce irradiare il luogo: le sabbie rosse del deserto, i templi, i visi dei faraoni e degli dèi. E in quel momento di suprema bellezza ed incanto non ho potuto fare a meno di pensare che gli Antichi Egizi vivevano in un ambiente che, naturalmente, li metteva in contatto privilegiato con il Cielo, la loro Nut, simbolo della fecondità e della rinascita, della rigenerazione. E mi è venuto anche da pensare che, se erano astronomi tanto competenti, non potevano non essere versati anche in astrologia, mentre oggi molti egittologi ortodossi si sforzano di comprovare che solo con l'arrivo dei Greci la sapienza astrologica venne davvero portata in Egitto. Ma noi, da parte nostra, sappiamo che dai tempi più antichi astronomia e astrologia si fondevano in una disciplina sola in un meraviglioso gioco di analogia e sappiamo bene, come riportano i testi ermetici, che l'Egitto era stato creato a immagine del cielo.
Bibliografia
- "Conversando con i pianeti, il cosmo nel mito e nella scienza" di Anthony Aveni, Edizioni Dedalo
- "Herbak Cecio" di Isha Schwaller de Lubicz, L'Ottava Edizioni
- "Egitto segreto" di Paul Brunton, Edizioni Il Punto d'incontro
- "I luoghi alti" di Blanche Merz, Sugarco Edizioni
- "Seshat, la Dea delle sette stelle" di Robert Bauval, su "Hera" numero 47
- "La piramide di Zoser e le stelle dell'Orsa Maggiore", di Robert Bauval, su "Hera", numero 49


